Non è facile sintetizzare in poche righe la storia che mi vede legato alla Cooperativa La Quercia, storia che per me ha avuto inizio nel lontano 1991 quando scelsi di fare il servizio civile. Dal giovane ragazzino ventenne di allora al cinquantenne di oggi ne sono cambiate di cose, sia a livello personale che a livello professionale. Per quest’ultimo aspetto il rischio nel “raccontarsi” è di cadere nel tranello di uno pseudo curriculum che, a parte un problema reale di spazio, non credo interessi a nessuno. Provo invece a raccontare qualcosa di me, e di Quercia, attraverso qualche aneddoto per me significativo ma soprattutto indelebile.
Se mi soffermo un attimo a ripensare a quei primi momenti in Quercia, mi sembra di vedere ancora quel ragazzino pieno di entusiasmo, con tanta voglia di fare e di imparare, ma con in corpo un mix di adrenalina, timore e paura al pari di un ginnasta che si prepara alla corsa per il salto in alto. Con la differenza che se il ginnasta era probabilmente allenato, per me era il contrario: mi trovavo all’inizio di un’avventura totalmente sconosciuta. Avevo con me una valigetta degli attrezzi praticamente vuota in quanto mai, prima di allora, avevo avuto a che fare con il mondo della disabilità.
Un’immagine nitida di quei primi giorni mi rimanda direttamente ad una tazzina bianca quasi colma di caffè, appena versato dalla moca, che mi viene gentilmente posta in mano: subito dopo però un’educatrice, sempre gentilmente, mi fece intendere che quel caffè non era per me, ma che per prima cosa era da offrire a chi, per un motivo o per l’altro, non riusciva a prenderlo da solo. Fin qui tutto bene…fino a quando realizzai a chi avrei dovuto dare il caffè. In un batter d’occhio capii che la mia avventura in Cooperativa sarebbe disastrosamente morta sul nascere. Come potevo far bere un caffè ad una ragazza spastica, non in grado di utilizzare le mani ma soprattutto che roteava improvvisamente la testa, con scatti che mi facevano già intravedere ustioni sulla sua pelle e macchie di caffè sui suoi vestiti? Dopo un primo momento di panico, colto sicuramente dall’educatrice che mi diede subito precise indicazioni oltre che una buona dose di rassicurazioni, ricordo che riuscii nell’impresa, dando alla mia prematura autostima una prima bella occasione di crescita oltre che a capire che in Cooperativa prima venivano i ragazzi, e poi tutto il resto.
Altro ricordo degli inizi mi riporta alla vivace esperienza vissuta nella comunità degli obiettori, perché allora il servizio civile della Caritas prevedeva un lavoro che non terminava agli orari dell’unico Centro che c’era allora, ma che implicava una convivenza a 360 gradi con gli altri obiettori (eravamo in quattro) per tutta la settimana. Il valore aggiunto di questa esperienza era Luigi, un ragazzo disabile che, in attesa della terminazione dei lavori della Comunità Alloggio (che Quercia stava per inaugurare), abitò con noi per tutto il tempo della durata del servizio civile. Luigi, che veniva da una storia di violenze e privazioni, non potendo più rimanere a casa con i familiari, cominciò timidamente a vivere con noi. In poco tempo, il rapporto con lui diventò speciale: Luigi faceva parte della nostra vita in toto, sia al Centro, sia nei momenti di relax nella nostra casa, sia nei momenti in cui si usciva per divertirci alla sera. Purtroppo Luigi, in un triste giorno di maggio, ci lasciò a causa di un ictus fulminante. Per me, e così per tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo, la scomparsa di Luigi rappresentò una perdita dolorosissima, forse il primo e vero dolore che si prova quando si è giovani. Questo non gli permise di andare a vivere nella sua nuova casa ancora con le impalcature (frase che ripeteva ogni volta che passavamo per via Roma). Oltre al ricordo dei suoi abbracci e delle sue attenzioni, ricorderò per sempre quella volta che, rincasando nella nostra casa obiettori, lo trovammo in piedi su un tavolo a ballare sulle note di una canzone sparata a palla che avevamo sentito qualche sera prima in un locale dove lo avevamo portato. Queste due foto, la tazzina bianca di caffè e Luigi in piedi sul tavolo, sono perfettamente nitide, attuali, come tante altre sicuramente, che porto dentro di me, perché alcune foto importanti della nostra vita non temono le sfocature del tempo.
E quanti altri aneddoti, quante altre situazioni che ci sarebbero da raccontare e che ho vissuto durante questa lunga storia in Cooperativa, una storia spesso da costruire insieme, mai prevedibile, intrisa di incontri speciali, di relazioni con i colleghi, ragazzi, famiglie, segnata da grandi soddisfazioni per gli obiettivi raggiunti ma anche da inevitabili fatiche, sofferenze e purtroppo anche perdite. Come di fatto è un po’ la vita di tutti noi. Credo però convintamente che chi, come me, ha avuto e ha tutt’ora la fortuna di vivere in Quercia può dire davvero, e io lo faccio a partire dalle due foto sopra rappresentate, che molti stimoli per crescere e maturare nascono proprio da qui, dalla nostra meravigliosa realtà. Anche a partire da una semplice tazzina di caffè, anche dall’insegnamento di Luigi, a cui ancora oggi dico grazie ricordandolo con una leggera malinconia, che salendo su quel tavolo voleva dire a se stesso, da una prospettiva diversa, che poteva e voleva “vedersi diverso”, più forte, e intravedere una vita migliore. Ed è anche da quei momenti, così presenti seppur lontani, da quei fermo-immagine che probabilmente è scattata in me la convinzione che nella vita bisogna saper cambiare prospettiva: la novità molto spesso è la più bella sorpresa che ci possiamo regalare.